Appetite for Advertising.

This book is created for all those who love Advertising and are crazy for it. The volume will reserve the exclusive and exciting way of enjoying the delights of the best and legendary advertising campaigns in the second half of the 20th century.
Enter into the tasty trip to advertising and leave nothing on the plate.

Bon Appétit!

Rimpiazzare il vecchio con il nuovo

In fin dei conti la pubblicità è una verità artificiale. Parte dei messaggi pubblicitari corrisponde a un dato di fatto: il trucco nasconde le imperfezioni, la soda è dolce, l’alito cattivo ha un pessimo odore, il mal di testa provoca dolore e gli occhiali da sole proteggono gli occhi. Ora invece la pubblicità dovrà cominciare a rispettare la linea separatrice tra il possibile e l’assurdo.​​​​​​​
«Siate provocatori. 
Nella vostra pubblicità non ci sia un uomo a testa in giù, 
semplicemente per attirare l’attenzione, 
ma perché dovete dimostrare che il vostro prodotto 
impedisce che le cose cadano dalle tasche.»
Bill Bernbach
«La migliore pubblicità dovrebbe creare 
nervosismo per ciò che non stai comprando.»
Mary Wells Lawrance
On the Road
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Volkswagen, Chemstrand, Goodyear, Chevrolet, Plymouth, Cadillac, Peugeot, Fiat


L’auto del popolo
La Volkswagen, vocabolo che in tedesco significa letteralmente "vettura del popolo", nacque sotto la dittatura nazionalsocialista di Adolf Hitler, nel 1937, per suo volere. Negli anni trenta, infatti, Hitler voleva far realizzare un’automobile che potesse essere in grado di motorizzare il popolo tedesco di classe meno abbiente, che non poteva permettersi le lussuose e costosissime Mercedes-Benz. L’incarico di realizzare il progetto venne affidato all’ingegnere Ferdinand Porsche col diktat di creare un’auto compatta, economica, semplice e robusta, facile da costruire in grande serie ed economicamente accessibile.
Nel 1936 vennero presentati 3 prototipi (2 berline e una cabriolet) al Führer. Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale il progetto Typ 1 da civile divenne militare. Nacquero così le Kübelwagen (auto-tinozza), usate come mezzo di trasporto leggero dagli ufficiali della Wehrmacht e la “Schwimmwagen” (l’auto che nuota, ovvero anfibia). Terminato il conflitto il modello progettato nell’anteguerra, opportunamente aggiornato, entrò finalmente in produzione e fu immesso sul mercato con il nome commerciale di Volkswagen 1200, meglio conosciuto come Maggiolino. Il successo fu letteralmente immenso.


«Il problema di marketing per i nostri nuovi clienti si riduceva a questo: 
vendere una macchina nazista in una città ebrea.»
George Lois
«La pubblicità è l’arte primitiva del ventesimo secolo»
Marshall McLuhan
«I prodotti si fanno in fabbrica… 
Le marche si fanno nella mente.» 
Walter Landor
A Tavola
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Cheez Whiz, Kellogg’s corn soya, Baby Ruth, American Meat Institute, Metrecal, Chiffon, Ritz crackers, Skippy cream nut, Hunt’s, Campbell's, Lay’s, Chiquita, Levy’s


In the kitchen
Sebbene la pubblicità fosse la forza del capitalismo americano, la creatività si stava spegnendo. In effetti, in gran parte delle agenzie i rischi venivano assolutamente evitati, la sperimentazione proibita e le pubblicità più creative sorgevano nonostante gli standard industriali, piuttosto che come loro conseguenza. Alla metà degli anni ’50 l’industria mostrava un disperato bisogno di rinnovamento. 
E ciò che successe scosse probabilmente i santuari dell’élite pubblicitaria. I ragazzini immigranti che scelsero l’«arte commerciale» come una chiamata entrarono nella fila degli art director e dei copywriters. Doyle Dane Bernbach fondò il nuovo paradigma di «team creativi», mettendo in coppia scrittore e designer, e la Rivoluzione Creativa, che fu negli anni ’50 ancora una piccola forza motrice, divenne per la pubblicità degli anni ’60 il motore trainante. Il nuovo metodo che consisteva nell’iniettare l’arguzia, umorismo e un po’di sex appeal in quella pubblicità ancora troppo posata avrebbe presto fornito nuove energie all’industria e all’economia americane e promosso una forma artistica commerciale che divenne l’ideale di molti potenziali artisti e scrittori. La Rivoluzione Creativa non vinse completamente la fama di ciarlatana aggressiva che aveva la pubblicità, ma fu una miccia dell’enorme trasformazione che stava per esplodere. Nonostante ciò, gli anni ’50, che avevano fatto sì uso del modernismo in alcuni annunci e campagne, furono per l’America un’epoca in cui la sua smisurata abbondanza di prodotti non aveva ancora trovato una voce.
«In una pubblicità, non cercare di vendere picchi per pappagalli, 
finiresti col vendere il picchio peggiore che ci sia; 
cerca piuttosto di vendere il miglior picchio possibile.» 
Leo Burnett
«La questione è che nessuno legge le pubblicità. 
La gente legge ciò che le interessa 
qualche volta si tratta di una pubblicità.»
Howard Luck Gossage
«Non è soltanto ciò che dici che colpisce la gente. 
È il modo in cui lo dici» 
Bill Berbach

«Nessuno conta il numero delle pubblicità che crei; 
ci si ricorda solo dell’impressione che fai con quelle pubblicità.»
Bill Bernbach
La nuova pubblicità
Quando nel 1949 si aprì sulla Madison Avenue l’agenzia pubblicitaria Doyle Dane Bernbach (DDB), le barriere cominciarono a cadere. Iniziarono così a emergere gli elementi più trascinanti dell’America postbellica: il senso dell’umorismo, la semplicità e la satira, assieme all’esperienza ormai assimilata del modernismo e dell’arte astratta, confluirono in un nuovo approccio. 

Smoking
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Marlboro, L&M, Lucky Strike, Chesterfield, Camel, robt, Burns cigarellos, White owl, Pall Mall, Santa fe cigars


Il duro cowboy della Marlboro
Marlboro è il marchio più grande della vendita di sigarette in tutto il mondo. Nel 1924 la Philip Morris decise di lanciare nel mercato un nuovo prodotto con filtro dedicato alle donne, un nuovo tipo di sigaretta “più leggera” appunto. Per personalizzare maggiormente la sigaretta questa aveva anche un bordo rosso stampato sul lato del filtro per nascondere le macchie di rossetto rosso.
Ma non fu un successo, soprattutto perché le donne fumavano proprio per emanciparsi e non gradivano una marca di sigarette “per donne”.
Come spesso capita nel mondo del mercato, spesso una buona idea sulla carta non trova risposta tra i consumatori. Il nuovo brand sopravvisse per circa 30 anni, fino a quando non arrivarono gli anni ’50, periodo in cui l’opinione pubblica cominciò a conoscere e sensibilizzarsi sul problema del cancro ai polmoni dovuto al fumo. E ci si convinse che le sigarette con filtro fossero meno dannose di quelle senza.
La Philip Morris si trovò ai vertici del mercato, anche se andava fatta ancora un’operazione di “brand positioning”.
Le ricerche di mercato fatte in quel periodo dimostrarono che gli uomini erano disponibili a fumare sigarette con il filtro (ancora negli anni ’50 vendute solo per le donne), ma non volevano certo fumare una brand di sigarette “per donne”. Venne quindi fatta una strategia per dimostrare come il nuovo marchio fosse per “uomini veri”, un cambiamento radicale rispetto a prima, all’originale sigaretta della Philip Morris.
Si pensò a campagne pubblicitarie multi-soggetto come comandanti di navi, sollevatori di pesi, militari o muratori che fumavano la sigaretta.
La prima prova venne fatta con soggetto un cowboy e questo ebbe un enorme successo. Così enorme che si decise di non usare gli altri soggetti e focalizzarsi solo sul cowboy come simbolo di “uomo vero”.
Era nato il cowboy Marlboro.
Era nata la Marlboro.

«Ci fumiamo la pubblicità, 
così come ci beviamo l’etichetta.»
James B. Twitchell
«La ricerca di mercato, qualsiasi sia il suo risultato, 
non dovrebbe mai essere usata come una buona scusa per un cattivo design, 
così come un buon design non dovrebbe mai essere usato 
per promuovere un cattivo prodotto.» 
Paul Rand
Women
/
Borgana, Arrow, American airlines, Tangee, Gotham gold stripe, Bur-mil cameo, Jayson, Benson & Edges, Mr Thomson, Pond’s, Revlon, Braniff international airways, Maidenform, Biflex

«La pubblicità riflette le usanze della società, 
ma non le condiziona. La parola fuck 
è assai diffusa nella letteratura contemporanea, 
ma non è ancora comparsa nella pubblicità.» 
David Ogilvy
Drinking
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Martini & Rossi, Smirnoff, National bohemian, Johnnie walker, Budweiser, chivas, Loewenbrau, Schlitz, Alka-seltzer, Champale, Coca Cola, Pepsi cola, 7-Up, Wolfschmidt Vodka

«La pubblicità non è una scienza, ma è persuasione. 
E la persuasione è un’arte.» 
Bill Bernbach
Men
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Gem, Art Schaffner & Marx, Hanes, Jockey underwear, Hathaway shirts, Yardley, Great day, West Virginia pulp and paper, Engle shirts, Kuppenheimer, The continental insurance companies, Sanforized


Hanes veste l’America
Hanes ha vestito l’America per quasi un secolo. Dall’esordio sul mercato della biancheria intima Hanes Underwear per la prima volta nel 1901, la ditta è passata da una linea base d’abbigliamento intimo ad una produzione leader di capi da uomo, donna e bambino, dalle calze all’intimo fino al casual. Oggi l’ 88% dei cittadini statunitensi acquista prodotti Hanes.
Nel 1901 Pleasant (P.H.) Hanes fonda la P.H. Hanes Knitting Co. per la produzione di biancheria intima maschile.  Hanes lancia la nuova biancheria intima a due pezzi, una vera rivoluzione rispetto al capo unico tradizionale in uso all’epoca. Lo stesso anno suo fratello J. Wesley Hanes fonda la Shamrock Mills Co. per la produzione di calzetteria maschile.
Nel 1965 le due società Hanes si fondono per creare la Hanes Corporation, la prima fusione tra due aziende con lo stesso nome.

«La pubblicità non è affare da uomo adulto.» 
Howard Luck Gossage
La storia e gli spot di David Ogilvy
David Ogilvy aveva 35 anni quando decise di comprare una fattoria in Pennsylvania, di portarci sua moglie e di mettersi a fare l’allevatore in una comunità Amish. Era il 1946. Cinque anni dopo sarebbe diventato il pubblicitario più famoso del mondo.
Era stata una mossa tipica del suo lato eccentrico, quello un po’ dandy e provocatorio, quello che a 20 anni gli aveva fatto mollare Oxford o che al ristorante lo spingeva ad ordinare un piatto “di solo ketchup”, per il semplice gusto di impressionare gli altri commensali. Era una parte del suo carattere sempre molto viva e legata in profondità a quella più assennata e rigorosa, bisognosa di regole e dedita al lavoro. Un britannico ben vestito, affascinante, super-professionale, che di tanto in tanto si sfila la pipa di bocca e ne pensa una incredibile.
Oggi la più famosa di tutte è quella de “L’uomo in camicia Hathaway”: Ogilvy mette una benda su un occhio di George Wrangell per trasformare un oscuro marchio d’abbigliamento in un simbolo superiore di fascino ed eleganza.
«Non produrre mai una pubblicità 
che non vorresti che la tua stessa famiglia vedesse.»
David Ogilvy
Cose di casa
/
Hoover, Surf, Houswife & cpo, Sos soap, Modess, Handi-wrap, holly sugar, Knoll, Wassally, Lehigh, Herman Miller, Lightolier, Frank Bros., Kartell


L’ingresso della modernità
Gli annunci pubblicitari automobilistici stavano cominciando a essere veri e propri paladini dello splendente, nuovo futuro. Alle automobili ci si riferiva come alle «macchine da sogno» e tutte le qualità di una nuova epoca vennero sintetizzate da una pubblicità della Plymouth del 1954: «così grande… così potente… così emozionante… tutta una novità». 
Le automobili erano sinonimo di progresso e i modelli dell’ultimo anno erano sempre più entusiasmanti di quelli del precedente. L’apparenza assunse la stessa importanza della prestazione ed entrambe confluivano spesso in un’estetica futurista, sia esterna che interna. 
Con le sue alette, la sua cromatura e i suoi cruscotti aereodinamici, la Oldsmobile Rocket 88 mirava a contrastare la sua sfortunata connotazione di «vecchia» automobile. La Rocket (ovvero il razzo) assurse a metafora del progresso.
Ora, dimentichiamo per un attimo che i missili possono essere delle armi letali; la «ricerca dell’era spaziale» garantiva che, qualsiasi fosse il prodotto, dai carburanti Sinclair (il cui logo, ironico, era un dinosauro, ma le cui pubblicità facevano comunque riferimento allo spazio) ai prodotti Monsanto («Prodotti chimici e Plastica»), tutto era «Completamente nuovo! Completamente automatico!». Come recitava il mantra, i prodotti venivano «Designed for Living». E non scordiamoci che la Westinghouse, «La prima per energia nucleare!», produceva le migliori lampadine e che «puoi fidarti di Dow», la compagnia «indispensabile per l’industria  e l’agricoltura», produttrice tra l’altro dell’Agente Arancio.
L’industria stava cavalcando l’onda della promessa della «modernità»: la Lawn-Boy era la «falciatrice dell’America moderna». Il Phon Audograph III della Gray offriva una «Dettatura a pulsanti! Moderno. Al prezzo più basso!». La IBM, la compagnia del motto THINK, stava addirittura andando «Sempre più vicino all’infinito!», mentre la Bendix, produttrice anche di aerei, teneva i piedi ben piantati a terra. Il modernismo offriva comunque infinite possibilità, compresi imballaggi accurati ed eleganti: «Quest’anno i consumatori faranno oltre sei miliardi di viaggi nei supermercati. In gran parte di questi viaggi porteranno a casa cibo impacchettato in confezioni dalla Marathon».
Anche la velocità era importante, specialmente nel 1958 quando l’American Airlines annunciò che: 
«Il primo servizio di jet degli Stati Uniti prenderà il via in gennaio», impiegando solo quattro ore e mezzo da una costa all’altra. O quando quello stesso anno la Pam Am propose «Sei ore e mezzo per reaggiungere l’Europa» e la Douglas lanciò l’invito: «Presentati a Sua Serena Altezza, la Stratosfera», in un jet DC-8. E anche se il Jetstream della TWA era un aereo a elica, il suo messaggio pubblicitario vantava con orgoglio: «In orario!». Nel 1959 la Boeing festeggiava il fatto d’aver fatto volare sulle linee 707 un milione di passeggeri. Quindi perché perdere tempo se con Pam Am potevi essere «Tra America e Europa», in mezzo a cocktail e caffè… sulla linea aerea più veloce del mondo e con il servizio di classe economica».
«L’aria è tua, usala!» esclamava l’United Aircraft. Poi, una volta in cielo, la pubblicità portava i passeggeri in un mondo nuovo e migliore: «Delta per Miami… linea diretta verso il Sole».
La pubblicità aveva una risposta per tutto. Se hai paura di volare, prendi un treno. «Il più bel posto dove mangiare tra Chicago e Los Angeles» era il Santa Fe, secondo le nuove «ferrovie americane». O puoi sempre fare una crociera con la Cunard Line, che riassumeva l’esperienza nel brillante slogan «Getting there is half the fun» («La metà del piacere sta nell’arrivarci»).
La guerra fredda divenne ben presto il soggetto di molti degli annunci degli anni Cinquanta: che altro fu il «dibattito in cucina» fra Nixon e Khrushchev, se non una pubblicità del consumismo americano? L’enorme quantità dei prodotti, dal detersivo Surf che «aumenta il bianco perfetto e ravviva i colori» al Prolon, «la marca migliore per le stoviglie in plastica», passando per elettrodomestici come il frigo-congelatore della RCA Whirpool o il rasoio Schick Powershave, «il migliore rasoio elettrico» devono aver fatto diventare verdi di invidia i sovietici. Il messaggio del 1951 della Wester Electric fu ancora più palese: «Qualcosa che i Rossi non hanno», riferendosi alla velocità delle linee telefoniche della difesa civile. E parlando di difesa, un’altra pubblicità risalente al 1957 affermava: «Per il periodo di caccia, compra un Winchester Modello 12». 
Pubblicità di armi di questo tipo, come quella de Browning Automatic-5, l’«Aristocrazia dei fucili da caccia automatici», erano una vera e propria rarità nell’Unione Sovietica.
Nonostante i russi si vantassero di aver inventato la TV, in realtà erano stati i nazisti a produrre trasmissioni televisive qualche anno prima sia degli Stati Uniti, sia dell’Unione Sovietica. Tuttavia l’America fece con i televisori ciò che aveva fatto con gli armamenti durante la guerra: produzione di massa incondizionata e bombardamenti pubblicitari continui. Nel 1957 il modello Miss America del televisore Philco venne annunziato come fosse il futuro: «Guarda avanti e sceglierai Philco». Trattandosi di televisori, le dimensioni erano alquanto importanti. L’Admiral rifuggì il modernismo e ogni altro «ismo» con il suo stridente slogan «Televisore da 21 pollici al prezzo di uno da 17». Mentre per la sua console combo da 17 pollici offriva un «trionfo televisivo triplice» (e «l’optional del colore») e, come se non bastasse, con «l’immagine più nitida della televisione».
I superlativi erano la lingua parlata dal capitalismo e dal consumismo. Espressioni quali «nitidissima», «maggiore capacità», «niente di simile», «miracolo», «il più ingegnoso» e «ultra potente», per citarne solo alcune, dominarono gli annunci pubblicitari che vendevano i valori commerciali americani, industria e innovazione, con piacere e in certi casi con creatività. O, per meglio dire, in rari casi con creatività. La maggior parte degli annunci pubblicitari degli anni ’50 potrebbe essere paragonata alle pagine di un ingannevole catalogo: che fossero lavandini, o matite, o tappezzerie in cretonne, si trattava sempre e solo di merce che andava venduta, e con aggressività. Le pubblicità commerciali televisive erano ancora legate agli albori mentre gli annunci sulle riviste spaziavano dallo stimolare visivamente il consumatore all’osannare verbalmente il prodotto.

«Fare affari senza pubblicità è come fare l’occhiolino a una ragazza al buio. 
Tu sai cosa stai facendo, ma sei l’unico a saperlo.» 
Steuart Henderson Britt
«Volevo fare qualcosa di carino così ho comprato una sedia a mia suocera. 
Adesso però non vogliono farmi inserire la spina.»
Henny Youngman
«Parlare di responsabilità ai pubblicitari 
è come cercare di convincere un bambino di otto anni 
che il sesso è meglio di un cornetto 
al cioccolato.»
Howard Luck Gassage
New Media
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Insurance company of America, General Telephone, Western Electric, A&T, Carpet institute, Royal, Olivetti, IBM, Philips Television, Monroe, Motorola, Philco, Sony, Kelvinator originals, Frigidaire, Admiral, Xerox, Firestone, Kodak, Delco radio/GM


Western Electric
Western Electric è la società statunitense nata nel 1872 a opera di Elisha Gray ed Enos N. Barton per la produzione di cavi e di apparecchi telefonici. Nel 1875 Gray, già in polemica con Bell sulla priorità dell’invenzione del telefono, cedette alla Western Union la propria partecipazione, dando così inizio a una lunga battaglia legale tra le due società che si concluse nel 1879 con l’abbandono del settore della telefonia da parte della Western Union e con l’acquisto, nel 1881, da parte della Bell Company della Western Electric, che si impegnava a fornire i telefoni esclusivamente all’American Bell Telephone Company, divenuta, nel 1899, American Telephone and Telegraph Company (AT&T). 
Nel 1995, quando l’antitrust ha imposto alll’American Telephone and Telegraph Company una ristrutturazione e la Western Electric ha chiuso i battenti. 
Oltre ad essere un fornitore per AT & T, Western Electric ha giocato un ruolo importante nello sviluppo e nella produzione di professionisti del suono registrazione e la riproduzione attrezzature, tra cui: 
il Vitaphone sistema che ha portato il suono al cinema; la tecnologia di registrazione elettrica adottato dalle case discografiche alla fine del 1920 (nonostante il popolare sistema elettrico utilizzato da Autograph Records e il suo manager, Orlando R. Marsh ); l’Orthophonic fonografo, un fonografo acustica con una risposta in frequenza piatta su misura per la riproduzione di dischi registrati elettricamente; il Westrex suono ottico che è riuscita; il Westrex taglio e il sistema per la registrazione stereo del suono in un unico solco disco di grammofono che fosse compatibile con le apparecchiature monofonico. 

Olivetti
Sotto la guida di Adriano Olivetti, nei primi anni dopo la guerra l’azienda porta sul mercato alcuni nuovi prodotti di grande successo. 
Nel campo delle macchine per scrivere escono due capolavori del design di Marcello Nizzoli: la Lexikon 80 (1948) e la Lettera 22 (1950). La comunicazione pubblicitaria compie un salto di qualità e contribuisce a creare in tutto il mondo l’immagine di eccellenza della Olivetti e dei suoi prodotti.
Il manifesto disegnato nel 1950 da Nizzoli rappresenta simbolicamente una svolta. Il variopinto e grande uccello che si stacca dall’immagine elegante della Lexikon 80 è un annuncio di novità; è il simbolo di una macchina moderna e colorata, leggera e facile da usare, assai diversa dai monumentali modelli del passato.
Il tema della leggerezza è ripreso nel 1955 da un altro famoso manifesto di Nizzoli: la pallina che rimbalza sui tasti esprime l’idea della macchina agile e veloce. Il messaggio è chiaro e non ha bisogno di essere spiegato da un testo: il nome Olivetti è ormai affermato e basta a garantire la qualità e il valore del prodotto.
Viene chiesto di comunicare l’innovazione: la grafica si preoccupa di rendere ben visibile la presenza del cavo elettrico, mentre il testo del messaggio ricorda che “il motore libera dalla fatica”. Sul finire degli anni ’50, quando la macchina elettrica non sarà più una novità, Giovanni Pintori affiderà alla sola grafica il compito di trasmettere l’idea del motore che rende più agevole la scrittura.
Negli anni ’50 l’Olivetti dedica una particolare attenzione alle campagne pubblicitarie per la Lettera 22. Il nuovo modello di portatile è rivoluzionario, leggero e solido, con una forma appiattita fino ad allora sconosciuta. 
La novità, oltre che nel design di Marcello Nizzoli e nelle caratteristiche tecniche, risiede nelle categorie di utenti a cui la Lettera 22 si rivolge. La prima portatile Olivetti, la MP1 del 1932, era destinata alla medio-alta borghesia. La Lettera 22, invece, è per il mercato di massa; l’Olivetti vuol farne uno strumento della vita quotidiana di tutti. 

La pubblicità deve sensibilizzare i potenziali clienti, mettere in rilievo il valore culturale dell’oggetto, un dono intelligente che fa felice il destinatario e qualifica il donatore, uno strumento utile, facile da usare, da portare con sé dovunque si vada. Le immagini sono fortemente centrate sulla figura del prodotto, ma spesso sono accompagnate da un testo (es. “leggera come una sillaba, completa come una frase”) che accentua alcune connotazioni della macchina. Alla stesura dei testi in seguito collaborano intellettuali e scrittori come Franco Fortini e Giovanni Giudici.
Spesso le festività natalizie diventano l’occasione per campagne che propongono la Lettera 22 come un dono ideale. 
Giovanni Pintori disegna locandine dove vi sono lettere che ammonticchiate su una carriola formano un albero di Natale; sagome di Lettera 22 accompagnate da mazzi di fiori per creare il senso del dono…
La scuola è un tema ricorrente: la Lettera 22 viene proposta come un dono che serve come incentivo o come premio per i risultati ottenuti.
Le campagne pubblicitarie della Lettera 22 fanno leva su una grande varietà di messaggi e non sorprende, quindi che la pubblicità delle portatili uscite negli anni successivi riprenda temi già toccati. 
Ad esempio, con la Lettera 32 che esce nel 1963 si ritorna, seppure con stile grafico diverso, sul tema dello strumento prezioso per lo studente, della facilità di uso, del trasporto ora agevolato da una comoda custodia.
Con la Lettera 35, presentata nel 1974, compaiono immagini ecologiche di paesaggi campestri, ma il messaggio di fondo resta quello della libertà: una portatile può essere usata dovunque, anche in campagna.
Quest’ultimo tema diventa centrale nelle campagne pubblicitarie della Valentine, la portatile di colore rosso vivo, inserita in una custodia dello stesso colore, disegnata da Ettore Sottsass. La Valentine esce nel 1969 e si fa subito notare per il design accattivante e spregiudicato. Le campagne pubblicitarie la presentano in tanti quadretti che riprendono immagini della vita quotidiana: la si può usare dal meccanico, nel negozio del fruttivendolo, in spiaggia, su un aereo, in un campo sportivo… La Valentine può stare dovunque, ma è soprattutto un oggetto giovane per i giovani. 
Con la Lexikon 82, portatile elettrica del 1975, l’idea del dono natalizio è abbinata a quella dell’innovazione tecnologica: intercambiabilità della “pallina” di stampa, per la prima volta presente in una portatile, facilità di sostituzione del nastro colore, motore elettrico, ecc.
Con il passare degli anni, nella pubblicità delle macchine per scrivere di uso professionale l’accento si sposta sempre più dall’aspetto estetico a quello funzionale e tecnologico, dal messaggio emozionale a quello razionale.​​​​​​​

Travelling
/
Travelling company, TWA, samsonite, Delta, Pan Am, American Airlines, Braniff International Airways


Pan American
La Pan American World Airways, più comunemente nota come Pan Am è stata la principale compagnia aerea statunitense dagli anni trenta fino al suo fallimento, avvenuto nel 1991.
La Pan American Airways Incorporated fu fondata il 14 marzo 1927 dal maggiore Henry H. “Hap” Arnold e soci. La loro compagnia fu in grado di ottenere un contratto con l’U.S. Mail per la consegna della posta a Cuba, pur essendo priva dei mezzi per eseguire l’incarico. Il 2 giugno 1927, Juan Trippe fondò la Aviation Corporation of America con il supporto dei potenti finanziatori con appoggi politici William A. Rockefeller, Cornelius Vanderbilt Whitney e altri, compagnia nella quale Whitney ricopriva il ruolo di presidente. La loro attività aveva il possesso di tutti i principali diritti per l’atterraggio all’Havana. Avevano infatti acquistato una piccola compagnia aerea istituita nel 1926 da John K. Montgomery e Richard B. Bevier come servizio idrovolanti tra Key West e l’Havana. La compagnia aerea Atlantic, Gulf and Caribbean Airways Company, fondata l’11 ottobre 1927, dal banchiere newyorkese Richard Hoyt.
La compagnia aerea aveva una forte concorrenza su molte sue tratte così che ha iniziato ad investire in innovazioni tra cui aerei a reazione e aeromobili “wide-body”. Pan Am acquistò il DC-8 e il Boeing 707, proprio la Boeing, su pressione della stessa Pan Am, dovette portare a 6, invece degli originari 5, il numero di passeggeri per fila nell’allestire l’interno del 707. La compagnia aerea inaugurò un servizio transatlantico da New York a Parigi il 26 ottobre 1958, con un Boeing 707 chiamato Clipper America.

«Quando un uomo d’affari sale stanco su un aereo, 
pensiamo che gli dovrebbe essere concesso guardare una bella ragazza.»
Mary Wells Lawrence

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